Hanno il fascino di oggetti antichi, o meglio senza tempo,
che sembrano in qualche modo suggerire il senso della sacralità…
e della ritualità, ma sono anche forme stranamente enigmatiche
che si caratterizzano eminentemente
in chiave plastica autoreferenziale.

Francesco Poli

Già durante le sperimentazioni liriche meno recenti – dunque anche poi in occasioni delle prime proposizioni artistiche assolutamente mature databili intorno alla fine degli anni settanta – Piergiorgio Colombara mostrava estremo interesse riguardo tematiche, in seguito divenute caratteristica peculia­ re di una personalissima cifra poetica,  quali la de­ limitazione di uno spazio per l’assenza, l’individua­zione di un tempo sospeso e panico, la costruzione di un dialogo impostato sui silenzi, il rapporto complice e privato – quasi un incontro d’amorosi sensi – con   la materia del proprio operare.

Maurizio Sciaccaluga

Piergiorgio Colombara, naturalmente, è di un’altra pasta, è piuttosto un indagatore sottile e tenace, un artista che non perde mai di vista il traguardo che si è imposto e di conseguenza preferisce regolare l’andamento della sua ricerca non sugli allettamenti dell’esistente, ma sul richiamo dell’impossibile, ovvero su di una decantazione e distillazione del linguaggio che non rinuncia al narrare, ma dal narrare stesso cerca di cogliere il fine ultimo, l’essenza palpabile e tuttavia trascendente, vale a dire il riferimento di fondo a ciò che tutto unisce e, pure, non è percepibile se non nel distinto, nell’episodico, nel mutevole.

Paolo Balmas

La sua è dunque vera poiesis; nell’accezione platonica del termine.
Capacità di portare all’essere ciò che non è.

Massimo Donà

Una robusta struttura costruttiva e insieme una raffinata esplosione spaziale sono alla base di molte opere di Piergiorgio Colombara che ha saputo, sin dai suoi inizi, valutare il “peso” che nella scultura riveste la leggerezza. Infatti molte delle opere esposte, nell’ampio e frastagliato invaso della Borsa di Genova, sono costituite da ampie costruzioni spesso molto complesse per la contemporanea utilizzazione di materiali diversi: bronzo, rame, vetro…. ma che non gremiscono lo spazio della sala, ma anzi lo valorizzano dando all’ambiente severamente professionale la parvenza di una leggiadra foresta metaforica.

Ho detto “leggiadra” perché molti dei “cicli” realizzati da Colombara: i “pendoli” e “acquasantiere”, le “urne”, tutta la serie “exbronzo” e gli pseudoistrumenti musicali, presentano la caratteristica di offrire sempre la valenza “aerea” della scultura: lo spazio esterno e quello interno quasi sempre sono unitari sicchè la struttura metallica, nelle sue volute spesso acrobatiche, non lo offende o ingombra mai; anzi lo potenzia. Si vedano, ad esempio, ma i casi sono tantissimi – opere come “Caminetto senza suono”, “L’audace carena”, Casamata ecc..

Mentre anche nei lavori più “densi”, dove il metallo primeggia sullo spazio, si può constatare la presenza di quelle aeree strutture che contrastano con i materiali impiegati. E a questo proposito vorrei ricordare lo strano e insolito effetto causato da alcuni lavori dove il metallo (bronzo) viene “ridotto” a un leggiadro tessuto metallico attraverso una tecnica (comparabile a quella di “cera persa”) dove dei tessuti autentici, con le loro smagliature e le loro lacune, vengono fusi nel bronzo che ne assume la parvenza così lontana dalla solidità e compattezza del metallo.

È questo contrasto tra metallo e spazialità aerea, spesso abitata da filamenti e “ricami metallici”, a creare quella “titubanza  percettiva” che, a mio avviso, costituisce uno dei maggiori fattori enigmatici nell’opera di Colombara; tanto nelle grandi opere come “Plunbatarum”, “L’angelo”, “Mulino”, tanto in quelle più minute come le “Urne”.

E, naturalmente, la sensibilità “tattile” oltre che visiva e dinamica è quella che gli permette di coniugare la delicatezza del vetro con la rigidità del bronzo o del ferro e di far sì che le corde in ottone e la sottile sagoma vitrea di “Senza suono” finiscano per emettere un suono inaudibile, proprio per quello che ci si presenta come un vero istrumento d’una musica astrale.

Sarebbe sin troppo facile giocare con l’aspetto metaforico di molte delle opere presenti a questa rassegna genovese; e credo, in definitiva, – evitando le vacue elucubrazioni pseudofilosofiche purtroppo in auge presso tanti nostri critici che una delle maggiori conquiste nel lungo percorso del suo lavoro sia proprio quello di aver reso solidi e tangibili molti di quei “tropi retorici” che di solito si individuano soltanto nel linguaggio letterario e poetico e che, invece, troviamo qui resi palpabili nella felice comunione tra la forma plastica e i titoli dei lavori che la incarnano.

Gillo Dorfles

Si tratta di un operare volto a stabilire, come nei sogni, quel sottile filo di imprevedibilità che ci consente di spingerci ai bordi della conoscenza per cercare di percepire cosa sta avvenendo negli strati profondi della vita.

Giacinto Di Pietrantonio

… sono solo alcuni degli Exbronzi il cui fine ultimo è catturare il senso del tempo. In tale ottica, la ricerca di Colombara ha qualche non superficiale affinità con quella di Louise Bourgeois. A far pensare a una relazione sono proprio gli abiti e le figure di stoffa appesi che l’artista francese concepisce come corpi vulnerabili e indifesi, ma anche aggressivi e violenti, talvolta persino disperati, che riacquisiscono la vita e prendono forma. Colombara, sia pure in tutt’altra maniera, insegue, come Bourgeois, le pieghe e le lacrime dell’anima.

Alberto Fiz

In coerenza con queste loro caratteristiche di fondo, le opere di Colombara aspirano, come ogni vera scultura, a segnare e ridefinire in modo nuovo, indelebile, lo spazio in cui si collocano, ma sentono pure l’esigenza di non confliggere, di non essere barriera per l’aria che quella porzione di spazio definisce, avvolge e preserva. I materiali cui lui fin dall’esordio ha fatto ricorso sono intrisi di levità, malleabili, plasmabili: il piombo, la cera, le sottili lamine di ottone che possono essere piegate ad ogni forma, le lamiere, gli oggetti e le cannule di vetro – il vetro, lo sappiamo, è il prodotto dell’atto del soffiare, e ne reca tutta l’essenza… Anche le sculture recenti di Colombara – nelle quali egli si cimenta con un materiale, il bronzo, solitamente percepito e reso come espressione di una solidità e di una fermezza che sfidano il tempo – conservano un legame profondo con l’idea di leggerezza cui ci ha abituato.

Sandro Parmiggiani

Hanno il fascino di oggetti antichi, o meglio senza tempo, che sembrano in qualche modo suggerire il senso della sacralità… e della ritualità, ma sono anche forme stranamente enigmatiche che si caratterizzano eminentemente in chiave plastica autoreferenziale.

Francesco Poli

L’occupazione dello spazio, in modo permanente e significativo, è sempre stato il grande sogno della scultura, la sua aspirazione utopica.
Come si avverte con evidenza anche in questa installazione di Piergiorgio Colombara a Venezia. L’artista genovese mette però in atto in questa occasione una sorta di “artificio” che annulla la gravità dell’opera, strutturata infatti come una gabbia che si lascia attraversare dalla luce. L’installazione risulta infine fortemente simbolica perché contornata da altre gabbie di vetro che “imprigionano” simulacri di figure, vesti vuote che evocano forse una metafora dell’identità. Per tale via appare così un’opera molto complessa, formalmente autosufficiente ed emotivamente coinvolgente.

Enzo Di Martino

Al linguaggio simbolico della scultura Piergiorgio Colombara si è dedicato come alla costruzione di un rituale antropologico dove la memoria dell’origine risveglia i flussi dell’umano sentire. L’invenzione di oggetti plastici dotati di significati ambivalenti sollecita una riflessione poetica intorno al valore evocativo delle materie, strumenti di attivazione corporea e mentale, mezzi per stabilire relazioni sinestetiche che vanno oltre i canoni percettivi. La varietà delle materie esprime il complesso mondo sensibile di Colombara, la tensione alchemica del continuo cercare i fondamenti della forma, le essenze del visibile, fissate nel corpo della scultura, non senza risonanze che aleggiano nel vuoto.

Claudio Cerritelli

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